1995 / 12 - 111

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Costante è il parametro della gravità della pratica attuata, affinché essa ricada nel divieto contemplato all'art. 3 CEDU (cfr. sentenze della Corte di Strasburgo del 18 gennaio 1978 nel caso Irlanda/Regno Unito, serie A n. 25, par. 167 e del 30 ottobre 1991 nel caso Vilvarajah ed altri /Regno Unito, serie A n. 215, par. 107). Ancora costante è la giurisprudenza europea in merito al fatto che la valutazione quo al minimo di gravità del trattamento sia relativa, dipendendo essa dall'insieme delle circostanze del caso di specie, ed in particolare dalla natura e dal contesto del trattamento e della pena, dalle sue modalità di esecuzione, dalla sua durata, dai suoi effetti mentali e psichici, dal sesso, dall'età e dallo stato di salute (cfr. sentenza della Corte di Strasburgo del 7 luglio 1989 nel caso Soering, serie A n. 161, par. 100). Spetta a colui che si prevale di una violazione virtuale dell'art. 3 CEDU di comprovare, al di là di ogni dubbio ragionevole, l'esistenza di un reale ed immediato pericolo d'esposizione ad atti o misure contrarie all'art. 3 CEDU. A tal proposito giova rilevare che in virtù della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, la situazione generale che regna in un Paese non comporta, ad essa sola, l'inammissibilità del rimpatrio secondo le disposizioni della Convenzione (cfr. sentenza della Corte europea nel caso Vilvarajah ed altri/Regno Unito, op. cit., par. 108).

Nel caso concreto, il ricorrente pretende, ma non sostanzia, che in caso di rimpatrio sarebbe esposto al rischio di un trattamento contrario all'art. 3 CEDU. Nella misura in cui il pericolo cui fa riferimento l'insorgente dovesse essere rappresentato dal rischio di dovere nuovamente servire nell'armata croata della Bosnia-Erzegovina o allora da quello della pronunzia di una pena per diserzione, sarebbe allora opportuno rilevare che tali evenienze non rappresenterebbero, in quanto tali, una violazione dell'art. 3 CEDU (cfr. W. Kälin, Das Prinzip des non-refoulement, Berna 1982, pagg. 172 e 177 seg., e relativi riferimenti). Sia detto, per completezza, che una pena per diserzione viola l'art. 3 CEDU solo ove venga pronunciata non per motivi penali, ma essenzialmente per motivi politici (...), ciò che non può essere ammesso in casu, non solo perché non viene fatto valere, ma perché non emergono dagli atti elementi atti a suffragare la tesi secondo cui ciò potrebbe prodursi nel caso concreto. Ne discende che alcun elemento di cui agli atti di causa consente di ritenere, al di là di ogni dubbio ragionevole, che l'insorgente sia esposto, in caso di rientro in patria, al rischio reale ed immediato di una tortura, nonché di una pena o di un trattamento inumani e degradanti.

In altri termini, l'interessato non ha saputo fornire un insieme d'indizi, oppure di presunzioni non contraddette, sufficientemente gravi, precisi e concordanti